Se Jane Austen incontra Carl Gustav Jung

 

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La romantica Inghilterra di Jane Austen

Ad un’osservazione lontana da qualsiasi pretesa accademica viene da chiedersi a cosa avrà pensato Jung leggendo Emma. Forse però non l’ha mai letto, chissà!
La protagonista del romanzo non assomiglia a nessuna delle altre eroine dell’autrice, non è virtuosa nemmeno un po’, non ha bisogno di comprensione, affetto o solidarietà e, a prima vista, sembra non riscuotere altrettanta simpatia. La stessa Austen quando inizia la stesura del romanzo scrive: Sto lavorando ad un’eroina che non piacerà a nessuno, se non a me stessa.
Emma Woodhouse, viziata e snob, è troppo bella, troppo intelligente, troppo ricca, e vive con la convinzione di sapere cosa sia meglio per gli altri, arrivando a congetture arbitrarie e fallaci, a giudizi di parte e ad azioni spregiudicate che causeranno non pochi problemi e imbarazzi ai suoi amici e a sé stessa.
La cosa di cui va più fiera è la propria intelligenza acuta e brillante.
Il pregio che le si può meglio riconoscere è la lucida onesta con la quale guarda a sé stessa nel momento del disincanto, quando gli equivoci si dissolvono e la luce illumina la realtà, imponendole la consapevolezza dei propri errori.
Nella sua Autobiografia, Jung scrive: Deve conoscere (l’uomo) senza reticenze quanto bene può fare e di quale infamia sia capace, guardandosi dal considerare reale il primo e illusoria la seconda. Entrambi sono veri in potenza, e non sfuggirà interamente né all’uno né all’altra, se vuole vivere – come naturalmente dovrebbe – senza mentire a sé stesso e senza illudersi.
In questo invito alla libertà dalle imposizioni morali famigliari, sociali e istituzionali, sia religiose che laiche, che hanno così tanta poca fede nell’Assoluto e nessuna fiducia nell’essere umano, tanto da impiegare tutte le proprie energie per nascondere la coesistenza delle due possibilità, si afferma come ogni persona possa, se lo vuole, autonomamente impegnarsi e disimpegnarsi nel bene e nel male, utilizzando i mezzi interiori ed esteriori che possiede.
Emma è un perfetto esempio dell’affermazione del grande psicologo. Si rivela assolutamente libera, come nessun altro personaggio austiano, non grazie alla posizione sociale che glielo permette, ma perché saprà riconoscere in sé, non l’infamia che le è estranea, ma l’errore, la presunzione e il ridicolo. Durante tutta la narrazione, ogni tanto, a piccoli sorsi, è richiamata all’effetto dei propri atti dall’intervento di Mrs. Knightley, che le indica una mancanza di tatto, la negazione di una gentilezza, il cinismo di un gioco d’astuzia che colpiscono in silenzio ieri come oggi, perché la parola che ferisce, lo sguardo che gela e il gesto che nega rappresentano strumenti di manipolazione e quindi di potere. E noi diventiamo veramente potenti solo quando scegliamo di non usarli. Emma, che è profondamente sensibile, alla fine lo capisce. Riconosce il proprio comportamento scorretto, non si mente e non si illude.
Ma per la felicità dei lettori, che non solo si immedesimano ma si sentono chiamati in causa, Miss Woodhouse, aiutata, lei come tutti gli altri personaggi del romanzo, dalla buona sorte, vede risolti tutti i problemi, e può pertanto liberarsi da qualsiasi senso di colpa.
La penetrazione dei caratteri e l’architettura del piano intellettuale rendono la lettura gradevole e leggera portando l’attenzione verso l’attualità dell’opera che si conferma romanzo di formazione senza tempo. Non sono i merletti e il tè delle cinque a segnare il passo delle lancette sull’orologio dei tempi, dei costumi e delle mode, ma lo stato d’animo, l’aspirazione ad essere sé stessi e la conquista di un cuore amico che trovano spazio nella dimensione atemporale.

 

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