Una gita, un faro e naturalmente Virginia

Fragili come cuori di cristallo, i personaggi di GITA AL FARO riassumono la sensibilità di Virginia Woolf in ogni corda delle loro vibrazioni e la rievocano nell’intimo del lettore per rilanciare quel suo bisogno di consenso che desse un senso alla vita.

Il flusso del pensiero e degli stati d’animo che si susseguono interrottamente è deviato dall’intervento di un battere di ciglia, di una parola rimasta in sospeso, di un’offerta non richiesta che sono sufficienti a far precipitare dall’estasi alla desolazione o far risalire dal buio abissale alla vetta assolata.

Come non accompagnare con incertezza l’inciampo emotivo che ci vorrebbe solidale con un personaggio e in fuga da un altro, quando il cinico non è che il trampolino di lancio alla sorpresa di uno stato di grazia? Qualsiasi certezza non è che una sosta alle domande e alle supposizioni su ciò che stava accadendo all’altro: quale burrasca stava affrontando il signor X? Da quale eroica spedizione è tornata la signorina Y? Cosa ha spento la luce sul volto della signora X?

Poi, quando pare che l’ondeggiare delle onde emotive sia diventato la norma, ecco che quel certo personaggio, il signor Carmichael “… veleggiava sereno in un mondo che accontentava tutte le sue necessità, tanto che pensava di dover semplicemente metter giù la mano da dove se ne stava disteso per poter pescare qualunque cosa desiderasse.”

In una tale fiducia nell’esistenza, la più piccola cosa cosa, come anche la più grande, trova la propria armonia e la propria collocazione.

Ognuno di noi raccoglie da GITA AL FARO le suggestioni che lo portano in vari scomparti di sé per scandagliare ancora di più e diversamente quelle oscillazioni della crescita interiore che non conosce stasi e che sempre continua a sorprenderci perché l’alternarsi di inquietudine e sollievo infine raggiunge un punto che in un attimo illumina l’intero universo.

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