«Arriva un tempo, nell’educazione di ciascun uomo, in cui egli si convince che la competizione è ignoranza; che l’imitazione è suicidio; che deve saper accettare sé stesso per il meglio e per il peggio, come parte sua; che per quanto il grande universo sia buono e generoso, nemmeno un chicco di nutriente grano può arrivare a lui se non attraverso la fatica prodigata su quel pezzo di terra che gli è stato dato da dissodare. Il potere che è in lui è qualcosa di nuovo in natura, e nessuno, eccetto lui stesso, può sapere che cosa sia quello che egli può fare, né può mai saperlo finché non ha provato»
Fiducia in sé – Ralph Waldo Emerson
Il grande filosofo americano invita alla riflessione di come l’esistenza dell’individuo abbia radici nella sua educazione. Educazione da non confondersi con l’istruzione che si riceve a scuola o con l’insieme di regole, obblighi e divieti indicati dalla famiglia e dalla società di appartenenza.

L’educazione di cui scrive Emerson è più quell’intima e profonda conoscenza di sé stessi che permette di allontanarsi dai percorsi di massa per individuare il proprio cammino.
Educare significa insegnare a fare da soli, a pensare da soli, ad essere autonomi, e include, come premessa e di conseguenza, senso di responsabilità e coraggio di libertà.
Definire la competizione ignoranza e l’imitazione suicidio dimostra una visione modernissima non solo per il diciannovesimo secolo ma anche e soprattutto per oggi.
Accettare sé stessi è il primo passo verso l’apertura all’abbondanza del mondo che, speculativamente, rimanda alla realtà della potenzialità insita in ogni essere umano, che però dovrà scoprire da solo il proprio patrimonio e la propria forza di carattere.
È quell’andare lontano, oltre il conosciuto, per scoprire non solo terre inesplorate, ma il luogo più inesplorato di tutti, il proprio Sé, e vedere da lì quanto e cosa ognuno di noi può fare.
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