Ci sono autori che nel descrivere il proprio rapporto con il mondo naturale sanno costruire storie in cui natura e letteratura si intrecciano armoniosamente per esprimersi l’una nel riverbero dell’altra.
È il caso di Helen Humphreys che nelle sue narrazioni ha sempre più profuso le relazioni avute con i cani che l’hanno accompagnata nel corso degli anni. Già alla nascita viene accolta da Lisa, una femmina di San Bernardo, e dai genitori perché quest’ultimi avevano deciso che dopo il matrimonio ci sarebbe stato prima un cane e poi un figlio.

In Un cane di nome Ivy la protagonista canina che affianca la protagonista umana è una cucciola, diversa da tutti i suoi predecessori, che arriva con una vivacità irrefrenabile e un carattere particolare a scuotere la sua non più giovanissima umana dalle nostalgie del passato e dalle tante perplessità obbligandola a radicarsi nel presente con semplicità e concretezza.
Il cane è un compagno fedele con delle richieste che condizionano ma che, nel caso di Helen Humphreys, si rivelano un balsamo per equilibrare la vita solitaria e appartata dello scrittore con il contatto con il mondo esterno.
A tale proposito, l’opera accende un faro sull’esistenza in ombra dello scrittore mettendo in evidenza le difficoltà e le incomprensioni a cui nessuno da mai molto peso, ma che invece sono la norma per tutti coloro che vivono, con più o meno profitto, di scrittura.
Essere scrittrice è complicato perché il nostro è un lavoro solitario e allo stesso tempo totalizzante… E’ difficile mantenere l’equilibrio quando svolgi una professione che ha una componente così profonda di instabilità e porta in sé il germe del fallimento. E’ difficile conservare la stabilità necessaria al processo creativo e allo stesso tempo rispondere alle esigenze della vita, far quadrare i conti, e gestire insuccessi e rifiuti che in questo campo sono moneta corrente. I rifiuti sono una costante nella vita di uno scrittore, non importa che si tratti di denaro, riconoscimenti o di un manoscritto non pubblicato. Non finiscono mai. A volte la solitudine è la parte più semplice. Se si è certi di voler vivere di scrittura, è opportuno voler trovare il proprio ritmo: non lavorare troppo, assicurarsi di fare attività fisica e di intrattenere rapporti sociali, provare a coltivare abitudini salutari.
La trama segue la crescita della piccola Ivy, la prima difficile estraneità fra le due protagoniste che lentamente e impercettibilmente si trasforma in fiducia e in affetto, il percorso creativo della scrittura con tutte le sue diversificazioni perché ogni nuovo lavoro è a sé e ogni volta che si inizia è come se si scrivesse per la prima volta … con una perenne ma sublime incertezza.
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