Fondatrice del marchio Retrò eco à porter, seppure molto giovane, Manuela De Sanctis ha alle spalle un’importante esperienza nel mondo della moda, prima tradizionale e poi innovativa, come stilista e come imprenditrice. Rivolgiamo anche a lei alcune domande per conoscere meglio l’economia green e i tanti piccoli imprenditori che creano e producono con il pensiero rivolto al benessere di tutti gli esseri senzienti e della terra.

D – Perché e come è iniziata la tua attività green?
R – Ho sempre avuto una particolare attenzione per l’ambiente e i prodotti ecosostenibili, mi sono occupata per molto tempo di cosmesi ecobio e ho fatto parte per 10 anni di un Gruppo di Acquisto Solidale dove compravo ortaggi e prodotti biologici a km0. Ora faccio lo stesso ma senza il GAS vista la grande diffusione di prodotti bio alimentari.
La decisione però è maturata durante il periodo di lavoro presso un grande showroom di Roma, dove ho lavorato subito dopo aver concluso il percorso Accademico, in cui vedevo sprechi di materiale, di imballaggi, collezioni immense anche di grandi marchi con dentro etichette che dichiaravano made in china o in india; così ho voluto unire le mie passioni private con le mie competenze e realizzare un brand dalla piccola impronta ecologica realizzato in Italia nel pieno rispetto del Made in Italy, perché aprire una nuova impresa di abbigliamento senza tenere conto del suo impatto ambientale nel 2010 sarebbe stato assolutamente sbagliato.
Il capitolo Rétro eco à porter si chiuderà quest’anno perché ormai già da 3 anni lavoro come consulente esterna in qualità di commerciale e consulente stilistica per il brand toscano di intimo ecoinnovativo H-earth e mi trovo molto bene a lavorare in team piuttosto che da sola come ero abituata a fare con Rétro. Da pochi mesi invece seguo un brand emergente di magliette bio con messaggi sostenibili dal nome Lessismore. Attualmente ho deciso di contribuire alla nascita di nuovi brand e a migliorare quelli già presenti sul mercato grazie alla mia esperienza acquisita nel settore tessile eco in 10 anni di attività.
D – Quale differenza c’è fra i piccoli e i grandi produttori?
R -La differenza primaria sicuramente è la possibilità di permettersi grossi investimenti in pubblicità, quindi di farsi conoscere e aumentare la rete di vendita. Se invece parliamo di un approccio etico e morale nel settore tessile, si può dire che i produttori sono tendenzialmente più attenti anche a livello etico e morale, non si definisco green solo per la scelta dei tessuti, guardano anche dove e come si produce, che tipo di coloranti vengono utilizzati. Finalmente la moda etica e sostenibile sta vivendo un momento di forte attenzione mediatica e le case di moda convenzionale, un po’ anche per la forte crisi del settore, stanno spostando la loro attenzione a questi temi di sostenibilità ambientale. Il problema nasce nel momento in cui si segue solo il trend “salvare l’ambiente” e le aziende attuano campagne definiti green washing in cui fanno un piccolissimo cambiamento verso il sostenibile e lo pubblicizzano come un grandissimo sforzo e una grande rivoluzione per il brand.
D – Come funziona il mondo eco-bio, come sono organizzate le aziende e quali sono i valori che ne indirizzano le scelte?
R – Questa è una domanda molto complessa, perché tutte le aziende sono strutturate diversamente a seconda delle proprie esigenze e della tipologia di prodotto. In linea di principio, parlando in generale, i cardini principali del mondo ecobio sono la sostenibilità ambientale e la trasparenza nella manodopera e dei lavoratori. Nello specifico nel tessile la sostenibilità dei lavoratori ha varie sfaccettature: c’è chi produce in Italia in laboratorio standard consolidando la manodopera Made in Italy, chi produce all’estero in aziende certificate GOTS e chi produce con progetti equo&solidali esteri o progetti solidali in Italia come made in carcere, chi cuce direttamente le proprie creazioni e chi fa uso di piccoli laboratori sartoriali. Sicuramente attualmente la certficazione Global Organic Textile Standard (GOTS) è quella che dà maggiori garanzie in assoluto perché è uno standard mondiale ed ente certificatore per la produzione e trasformazione dei filati, dei tessuti e il confezionamento dei capi biologici, definisce i criteri di tolleranza per la tutela ambientale, il rispetto dei criteri sociali per il lavoratore, oltre a tutelare la salute del lavoratore e del consumatore finale, bandendo sostanze tossiche e cancerogene. Piccola parentesi per i tessuti ecologici, come il Tencel, EVO, Modal, brevettati da aziende specializzate in produzioni di filati che non possono rientrare nelle normative del bio ma che hanno altri tipi di certificazioni in cui si dimostra la loro validità per la riduzione di impatto ambientale e la qualità di materia prima prodotta.
D – Quali sono le difficoltà che si incontrano?
R – La difficoltà maggiore che c’è stata fino a pochi anni fa era la reperibilità delle fibre e dei tessuti ecologici e biologici e la loro lavorazione, perché essendo fibre non trattate con le convenzionali tecniche, sono in qualche modo “vive” e reagiscono in modo diverso a seconda del modello che si deve andare a realizzare; così poteva soprattutto capitare che lo stesso articolo di tessuto avesse due rese diverse. Ad oggi le cose sono nettamente migliorate. Sono uscite nuovissime fibre che simulano perfettamente il nylon, come EVO realizzato dalla Fulgar utilizzando i semi del ricino. Sono aumentati i produttori di tessuto e ci sono sempre più titoli di filati disponibili. Si sono fatti veramente passi da gigante. Attualmente la difficoltà più grande è quella di far capire al cliente che prodotto ecologico non vuol dire prodotto eterno e indistruttibile, e quindi non può avere la stessa resistenza nel tempo di un tessuto di poliestere che impiega normalmente 40 anni per biodegradarsi.
D – Come vedi lo sviluppo del settore?
R – Molto confuso, da un lato ci sono brand che si occupano di fare ricerca di nuovi sistemi produttivi, di nuovi filati provenienti da fonti rinnovabili e a basso impatto ambientale – e così stanno nascendo nuovi brand che propongono vestiti fatti con tessuti ecologici e biologici che stanno dando una nuova impronta al sistema e stanno promuovendo la sostenibilità anche nel settore lusso – ma dall’altro lato, vedo anche brand che stanno facendo micro cambiamenti solo per seguire l’onda del sostenibile senza veramente crederci. Faccio un piccolo esempio, attualmente va molto il recupero di tessuti dagli stock, ma questo sistema va bene se si va ad attingere nei magazzini di produttori tessile importanti o di una certa qualità, se si attinge solamente a stock dove si prendono tessuti di dubbia provenienza o fatti in poliestere senza nessuna controllo per le tinture, stiamo facendo veramente ecologia solo perché recuperiamo uno scarto? Oppure stanno comprando tessuti che portano le stesse problematiche di inquinamento di microplastiche e di inquinamento della nostra pelle? Sono favorevole al recupero degli scarti per capire come smaltire i capi che produciamo anche se ecologici e biologici, ma nella scelta di usare tessuti di recupero a casaccio vedo in alcuni casi solo una volontà di risparmio economico abbellita con la parola ecologico.
D – Cosa pensi possa incentivare le persone verso una scelta del biologico?
R – Sicuramente come è stato per il cibo e poi per la cosmesi, anche nel settore tessile l’unico modo è fare informazione e raccontare il più possibile la storia della propria azienda, le scelte etiche, descrivere le problematiche della moda convenzionale, parlare di inquinamento dovuto ai coloranti. Insomma rendere consapevole il consumatore senza però colpevolizzarlo. Trovo importante che le aziende dialoghino con i propri clienti, capendo le loro esigenze e dove sia possibile andargli incontro.
D – Quali suggerimenti daresti a coloro che stabiliscono le regole del mercato?
R – Banalmente che l’etica e la sostenibilità nella moda diventino la loro normalità, attuando seri provvedimento al sistema e non solo qualcosa legato agli enti certificatori ai quali rivolgersi per avere una filiera pulita e sostenibile. Soprattutto non basta fare un piccolo cambiamento per definirsi ecologici o sostenibili, perché se non vediamo la cosa nella sua complessità, non stiamo dando un contributo ma solo seguendo un flusso di moda o di tendenza per continuare o aumentare le vendite.
Per maggiori informazioni sull’attività di Manuela De Sanctis si può visionare il sito http://www.retroecoaporter.com
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