Ci sono parole che non hanno suono, ma che si fanno sentire attraverso la corrente impercettibile che passa nello sguardo di chi è complice. L’energia che scorre da un essere all’altro cavalca canali invisibili agli estranei e salda accordi del cuore, come nessuna parola, e ancora meglio, come nessun contratto potrebbe mai fare.
Chiamiamolo amore, se vogliamo. Un amore però che non scende nel sentimentale, che non conosce idea di possesso, che non chiede dichiarazioni e conferme. Un amore che è uno stile di vita e un vivere la vita con stile, e con l’eleganza della naturalezza.
Sappiamolo rivolto alla vita in ogni sua espressione, libero dai legacci dell’identificazione e dell’opinione, del giusto e dell’ingiusto.
Platone, nel Simposio, fa raccontare ad Agatone della bellezza e della forza del dio Eros, il più tenero degli esseri – che stabilisce la sua dimora nel carattere e nell’anima degli dei e degli uomini – della sua moderazione, della sua libertà e del suo alto senso di giustizia.
Il punto più importante è che Eros non fa ingiustizia né la subisce, né da un dio né a un dio, né da un uomo né a un uomo.
Forse dell’amore non sappiamo nulla o se sappiamo qualcosa è insufficiente e dovremmo magari inventarlo di nuovo. Potremmo ripartire dallo sguardo, dagli occhi e da occhi lontani da noi, avvolti nel mistero e nell’imponderabile, misteriosi e imponderabili come gli occhi dei gatti.