Stanno andando incontro al loro destino con l’innocenza nel cuore, ignare della sorte che abbiamo preparato per loro.
Un dio incontaminato le aveva disegnate nel sogno pensando di offrirle come simbolo di gioia e allegria e come esempio di come sia possibile vivere senza pretesa di possesso e prevaricazione. Il dio sapeva quanto ancora la vista dell’uomo fosse circondata dalla nebbia, ma le aveva pensate comunque per prepararlo al chiarore della luce.
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Nuvole di innocenza solcano un cielo, buio come la nostra intelligenza perduta, ma le loro lacrime non commuoveranno abbastanza chi non riesce a liberarsi dalla morte che porta in sé stesso, e spera, cieco e sordo, in chissà quale rinascita, in chissà quale redenzione. E noi, che siamo qui ad assistere impotenti al massacro, che l’umanità pagherà a caro prezzo e che già sta pagando, a loro chiediamo perdono, e al dio chiediamo di renderci più intelligenti e capaci per risvegliare i nostri simili alla luce e all’amore.
Scrivere scrivere scrivere e sempre scrivere.
Ho cominciato da piccolissima, guidata dalla fantasia che respirava la vita intorno a me e la restituiva cambiata, a volte più bella, altre più drammatica.
Imparavo che potevo creare tutto un mondo, conosciuto solo da me, plasmandolo come fa lo scultore con la creta, per condividerlo con gli altri.
Era necessario però un compromesso, fra il desiderio di raccontare una certa storia e l’accettazione della storia che voleva essere raccontata, spesso molto diversa dalla prima.
Ascoltavo i personaggi, le atmosfere, le profondità, le negazioni e le asserzioni.
Imparavo ancora, nel passaggio dalla fantasia della narrativa alla realtà della vita a cogliere i fatti del mondo osservandoli da diversi punti di vista, senza più abbellire o drammatizzare, ma solo per mettere in luce quel qualcosa di vero e autentico che si nasconde nella normalità che sfuggiamo, per capire quanto invece sia straordinaria.
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